La Fortezza di Legnago - Il Quattrocento



A ridosso dell’esteso comprensorio vallivo e paludoso delle Valli Grandi Veronesi, la fortezza legnaghese costituiva nel primo Quattrocento il termine dell’articolato sistema difensivo, in parte costruito dall’uomo e in parte naturale, conosciuto con il nome di seraleum, posto a guardia dei confini occidentali del Veronese e della Terraferma, soprattutto a protezione dalle continue mire espansionistiche dei ‘vicini’ Gonzaga che non mancarono di rivendicare più volte le loro pretese su Legnago.

Come ad esempio nel corso di quella che è conosciuta come guerra veneto-viscontea (1438-1441), quando a pochi decenni dall’inizio del dominio marciano (1405), un’alleanza tra il marchese di Mantova Gianfrancesco Gonzaga e il signore di Milano Filippo Maria Visconti tentò di ‘ridisegnare’ i confini tra i tre Stati.

In più occasioni gli episodi salienti di questo conflitto interessarono proprio la pianura veronese e in particolar modo l’intricata rete di canali e di paludi che fin dal medioevo metteva in comunicazione il centro atesino, il Tartaro, il Menago, l’Adige e il Po.

Nella primavera del 1439 il celebre condottiero Niccolò Piccinino riuscì infatti a trasportare una flotta di circa una trentina di galee da Ostiglia a Roverchiara, grazie ad una straordinaria operazione militare che sfruttava le vie d’acqua naturali del comprensorio.

Da qui le navi, dotate di artiglieria pesante, vennero immesse nell’Adige e mossero alla conquista di Porto e successivamente della fortezza legnaghese, che rimase nelle mani dei nemici fino alla pace stipulata nel novembre 1442.

Le vicende della guerra veneto-viscontea confermarono a Venezia il fondamentale valore strategico di Legnago: verso la metà del Quattrocento vennero quindi intrapresi massicci interventi di ampliamento e di riparazione delle due fortezze, danneggiate nel corso dei recenti episodi bellici.

Per avere un’idea di quale fosse l’effettiva ubicazione delle strutture difensive di Legnago e di Porto è possibile ricorrere in primo luogo ai pochissimi esempi di cartografia storica che, a prescindere dalla precisione della rappresentazione grafica, permettono comunque di delineare a grandi linee una topografia di massima dell’impianto urbanistico delle due comunità.

Nella prima metà del Quattrocento, Legnago (su cui sono disponibili maggiori informazioni) era circondata da una cinta muraria la cui costruzione risaliva al dominio visconteo, nell’ultimo decennio del Trecento: attorno alle mura correva un capiente fossato alimentato dalle acque dell’Adige attraverso un apposito manufatto idraulico (chiavica).

Due porte, porta Galexina e porta Ferarola ne controllavano l’accesso, rispettivamente in direzione del borgo di S. Pietro di Legnago e di Vangadizza: una terza porta immetteva verso il ponte di legno che collegava le due comunità.

Al di fuori delle mura si trovava invece la bastita, una sorta di fortificazione di rifugio molto diffusa nelle campagne veronesi e venete, costruita in genere da un terrapieno circondato da una palizzata e da una fossa. In questo caso, la bastita, appoggiata direttamente alla cinta muraria legnaghese, poteva essere utilizzata in caso di pericolo dalla popolazione residente nei borghi, cioè in quella serie di abitati rurali sparsi esterni alla fortezza.

Nel 1483, il poligrafo veneziano Marin Sanuto impegnato in un lungo ‘viaggio’ nei territori della Dominante, ebbe modo di visitare anche Legnago e Porto, lasciandoci una preziosa descrizione delle importanti strutture militari che, nel frattempo, erano andate incontro alle ristrutturazioni di metà secolo a cui abbiamo fatto riferimento.

La vecchia rocca di Legnago, in particolare, venne ricostruita nel 1475 e dotata dei quattro caratteristici ‘torrioni’ rotondi: di questi, l’unico sopravvissuto racconta ancora oggi, nella sua imponente struttura, più di cinque secoli di storia.

Il fulcro della fortezza legnaghese era quindi senza dubbio la possente rocca, la «rocha più forte di Lombardia», della quale il Sanuto ci ha lasciato pure un apprezzabile schizzo: «fortissima et inexpugnabille sopra l’Adexe, et l’acqua li bate dentro; et è quadro, le mure grosissime, tute piene, et large, con merli di sopra et bombardiere; à quatro torioni tondi per cantoni». All’interno della rocca si ergeva poi un’alta torre utilizzata come deposito per le munizioni («la torre alta in mexo dove è le municione») e, «nel locco amplo di la rocha», le «caxe dil castelan et di compagni, nove fabricate» e le immancabili «fortissime presone».

Porto invece, oltre ad una rocca «bella et picolla» affacciata a quella legnaghese e unita dal citato ponte ligneo, mancava di una cinta muraria vera e propria, ad ulteriore conferma che alla fine del Quattrocento la «banda del Padoan», come scriveva Sanuto, non rappresentava più un pericolo per i confini della Serenissima.