Il Risorgimento a Verona e nel Veronese - Gli anni francesi e austriaci

Quando Napoleone Bonaparte, nel 1796, alla testa di circa 40.000 uomini, valicò le Alpi e marciò verso la pianura padana, inaugurò, di fatto, un modo nuovo di fare la guerra. Com’è stato rilevato da molti storici militari, il giovane generale corso, combinò una perfetta conoscenza topografica del territorio con una maggiore velocità di movimento delle truppe, riuscendo in questo modo, nel giro di poco tempo, ad annichilire le ben organizzate truppe austriache.

Relativamente al Veronese, la guerra di movimento rese il vecchio sistema difensivo, di origine veneziana, se non proprio inefficiente, quantomeno inadeguato a contenere i repentini spostamenti di truppe. Tutto ciò fu ancora più evidente durante la seconda campagna napoleonica in Italia, iniziata nella primavera del 1800, quando fu chiara l’inadeguatezza soprattutto delle difese disposte lungo la linea del Mincio; in seguito, nel 1805, quando i transalpini tagliarono le vie di comunicazione austriache col Tirolo, fu chiara l’impossibilità per l’Austria di difendere adeguatamente il Veneto senza una doppia via di accesso alla pianura padana: non solo quindi il passo del Tarvisio ad est, ma anche quello del Brennero a nord.

Dopo il Congresso di Vienna, l’impero asburgico, divenuto padrone di buona parte del nord della penisola italiana, ereditò un sistema difensivo, come detto, in gran parte di origine veneta e soltanto in alcuni punti ritoccato o addirittura stravolto dai francesi. Dal 1815 al 1830 la situazione politica internazionale, relativamente tranquilla, permise al comando militare austriaco di non preoccuparsi eccessivamente del potenziamento delle difese in area veneta; il genio poté limitarsi insomma ad alcuni piccoli interventi di manutenzione.

Dopo la presa del potere dei liberali in Francia, nel 1830, l’equilibrio politico sancito dal Congresso di Vienna sembrò vacillare pericolosamente. Il governo imperiale pose quindi all’ordine del giorno il problema della difesa militare del Lombardo-Veneto, soprattutto in vista di possibili invasioni da ovest: l’area strategica prescelta però non fu quella lombarda bensì quella compresa tra Verona e Mantova.

Valsero senza dubbio in quel frangente valutazioni di tipo economico poiché la doppia linea del Mincio e dell’Adige presentava piazze già fortificate (Verona, Peschiera, Mantova e Legnago), con a nord il forte di Ceraino, allo sbocco della Val d’Adige. Le quattro fortezze, però, non erano ancora viste come vertici di un’area da difendere (il futuro Quadrilatero), ma piuttosto come punti estremi di linee difensive: Peschiera e Mantova sul Mincio, Verona e Legnago sull’Adige. Verona rivestiva anche l’importante ruolo di piazza di deposito.

I miglioramenti tecnici delle artiglierie costrinsero gli ingegneri militari a limitare l’estensione delle cortine, elementi difensivi del tutto passivi, e potenziare invece il numero e l’ampiezza dei bastioni, delle tenaglie e delle casematte.

La scuola militare tedesca e quella francese rivaleggiarono in quegli anni grazie al pensiero di ingegneri come Nicolas Carnot - convinto dell’inutilità di una fortificazione improntata solo all’azione difensiva e della necessità di punti adatti a sortite repentine - e il generale Franz von Scholl, capofila della scuola tedesca, il quale teorizzò da un lato la necessità di una conoscenza topografica perfetta del terreno e dall’altra la costruzione di campi trincerati con torri e veri e propri forti autonomi. [Federico Melotto]